Progetti di vita e patti educativi: un’intesa per la tutela nel presente e per il sicuro passaggio al futuro

Le istituzioni Eruopee ribadiscono da oltre dieci anni l’importanza di fondare le politiche di accoglienza sui progetti di vita di ogni minore. Basti pensare alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2007 “sui progetti di vita in favore dei minori stranieri non accompagnati”

che sottolinea come i progetti debbano perseguire obiettivi legati a “l’inserimento sociale del minore, la sua realizzazione personale, il suo sviluppo culturale, il suo diritto all’alloggio, alla salute, all’istruzione e alla formazione professionale e all’accesso al lavoro”.


La definizione del progetto di vita deve basarsi su un approccio olistico, integrato e interdisciplinare che faccia emergere risorse, bisogni obiettivi e desideri di ciascuna e di ciascuno. I piani da tenere in considerazione sono molteplici: dall’età anagrafica al genere, dalla provenienza alla storia migratoria, dalle condizioni di salute psicofisica a tutti i possibili elementi di vulnerabilità, dalle reti familiari ai percorsi di scolarizzazione, dai desideri alle opportunità offerte dal contesto. Esperienze, vissuti, aspettative e sogni devono trovare adeguati spazi di ascolto che consentano la ricomposizione tra aspetti differenti ma anche la possibilità di cambiare idea o prospettiva.


Un secondo elemento di fondamentale importanza è un approccio partecipativo alla definizione dei progetti di vita, fondato sui principi dell’ascolto e del superiore interesse di ogni minore. I progetti non possono essere definiti a priori da chi detiene posizioni di potere o responsabilità di controllo, non possono essere standardizzati e replicati, non possono essere imposti né dati per scontati.
I principi di ascolto e di protagonismo dei minori sono da considerarsi imprescindibili, così come la consultazione di tutte le persone portatrici di interessi o di doveri. Ascolto, confronto e negoziazione permettono di pensare ai progetti educativi in una logica pattizia. Il patto educativo è l’esplicitazione di un punto di incontro, di una visione, di un piano di lavoro, di un sistema di impegni di diritti e di doveri. Occorre riservare una particolare attenzione ala negoziazione degli elementi di senso e di valore, perché ispirano le aspettative che ha ciascun attore coinvolto rispetto a ciò che può o che deve accadere. Non tutto può essere negoziato, vi sono ambiti in cui la minore o il minore non ha facoltà di decidere, ma tutto deve essere motivato: niente è da considerarsi scontato, soprattutto perché la maggior parte dei minori e delle minori migranti non ha vissuto precedentemente esperienze di accoglienza analoghe.


Progetti e patti non sono da intendere come prodotti definitivi. Trattandosi di patti basati su assetti individuali, relazionali e di contesto in continuo cambiamento è fondamentale accogliere positivamente ogni ripensamento e ogni cambio di prospettiva. Definirsi è un’operazione delicata e potenzialmente dolorosa per qualsiasi persona e lo è ancora di più nelle fasi in cui ci si percepisce insicuri, incerti, rapidamente in divenire. L’età anagrafica non sempre dice quanto i ragazzi e le ragazze si sentano grandi o piccoli, né quanto le persone attorno a loro li o le considerino tali. Quello che c’è scritto sul passaporto o sul permesso di soggiorno non sempre racconta dove e se si sentano a casa e quanto si sentano stranieri. Eppure, le questioni identitarie e progettuali sono continuamente sollecitate: dai compagni di classe ai colleghi di lavoro, dai connazionali ai vicini di casa, tutti chiedono chi sei, perché sei qui e dove vuoi arrivare. Sono per questo fondamentali gli spazi per ripensare ai progetti di vita e ai patti educativi – rivederli, aggiornarli, integrarli, modificarli radicalmente e gli strumenti per monitorarne l’evoluzione, anche in un’ottica valutativa.

CC — Di' Tu 2020 | Privacy policy | Cookie policy | design: FF3300